Antonio Biasiucci

(..) Dalle periferie di Napoli ai vulcani, dai pani ai tronchi d’albero: ogni immagine segna la presenza di un’esistenza attraverso la sua perdita individuando uno sguardo che diventa forma di conoscenza che si fa carne, rito e rivelazione.

La matericità della memoria

Forse dura una frazione di secondo l’esatto istante in cui nasce un cambiamento. O meglio, l’idea di esso. Accade, il più delle volte, lontano da una volontà consapevole e misurata. Ma accade. Accoglierlo e prenderne coscienza è poi un processo che si affina. Campo Base diventa così crocevia. Crux et via. Un punto d’incontro tra più percorsi che condividono un unico pensiero: la tensione verso il creare. In questo spazio di transizione, il tempo si dilata e le immagini si fanno pensiero.

Non più soltanto una questione editoriale, ma quasi una dichiarazione d’intenti: guardare verso qualcosa, qualcuno, d’essenziale e libero da cuciture. Così, in una Napoli sospesa, ho avuto l’occasione di incontrare Antonio Biasiucci. Fotografo e artista visivo.

Originario di Dragoni (Caserta), Antonio Biasiucci costruisce un percorso artistico che attraversa la memoria, la materia e il tempo. Dalle periferie di Napoli ai vulcani, dai pani ai tronchi d’albero: ogni immagine segna la presenza di un’esistenza attraverso la sua perdita individuando uno sguardo che diventa forma di conoscenza che si fa carne, rito e rivelazione.

Sin da subito l’artista osserva da vicino un modello di vita fondato sulla memoria comunitaria. Questo humus diventerà il primo terreno di indagine per la sua ricerca fotografica contribuendo a costruire una grammatica altra, capace di esprimere ciò che non poteva altresì essere detto: la fotografia diventa quindi il “medium” per attraversare il mondo.

Il suo sguardo attraversa una fase che potremmo definire reportagistica, ma già distante dal documento puro. Biasiucci fotografa la vita ai margini di Napoli, le periferie, i riti popolari, i volti e i luoghi di un Sud ancora intriso di sacralità quotidiana. Dietro l’apparente desiderio di testimonianza, si avverte una tensione precisa, la necessità quindi di trasformare la realtà in visione. Le sue immagini non nascono per descrivere ma per restituire e nel farlo aprono uno spazio di conoscenza che si colloca tra la cronaca e il mito.

Scattata nel 1985 a Castel Volturno, la prima fotografia diventerà poi la copertina di “Cirano”, storico album degli Avion Travel.

È in questo tendere che potremmo ritrovare un dialogo ideale con Pier Paolo Pasolini. Nell’attenzione radicale per l’umano e per il mondo popolare come luogo di resistenza al tempo e alla modernità. Laddove Pasolini filmava la realtà per elevarla a mito, Biasiucci la fotografa per riportarla alla sua sostanza primordiale. Entrambi, seppur in linguaggi diversi, cercano un’origine, una verità non mediata, una forma di conoscenza che nasce dall’empatia con ciò che è marginale e fragile.

La materia, nei suoi lavori, non è mai neutra: pane, terra, vulcani, tronchi. Tutti elementi concreti che diventano portatori di memoria, simboli di un’esistenza che attraversa la perdita e il tempo. Ogni scatto è un ex voto, un gesto di restituzione, un modo per percepire il mondo nella sua complessità. Non è la fascinazione estetica a guidare lo sguardo, ma la necessità di restituire la vita nelle sue stratificazioni, di tradurre la memoria in esperienza condivisa. 

La fotografia di Biasiucci diventa così dapprima atto d’amore e poi di salvezza: vedere per essere visti, salvare e salvarsi. Attraverso questo gesto, l’uomo resta umano e l’immagine resiste al tempo e alla comprensione restituendo alla vita i suoi strati più profondi. Ogni serie, ogni soggetto, ogni elemento fotografato non è mai casuale: nasce da un’esigenza interiore, da una tensione verso ciò che non può essere pienamente compreso ma che richiede di essere accolto.

Seen by Mia Di Domenico

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Mariasole Di Maio