Mariasole Di Maio
Mariasole Di Maio ha 24 anni. Napoletana di Torre Annunziata, vive a Roma. Attrice, produttrice, lavora da cineasta con lungimiranza. Contiene una vesuvianità senza orpelli che la rende autentica. È originale nel solco della tradizione. Non succede a tantissimi.
Tu hai fatto una cosa che di solito i giovani attori non fanno.
Ragionare in grande.
Prima di voler fare al cento per cento l’attrice mi sono iscritta ad Architettura. Tutti i viaggi fatti con mamma, certo, hanno inciso. Sono una mente matematica, più che artistica. Potevo fare ingegneria o la data analyst. La soddisfazione del palcoscenico, della messa in scena, è prevalsa per la sua immediatezza. La borsa di studio a Roma non è stata una scelta. Mi ci sono (ri)trovata.
Hai cominciato da bambina…
A sei anni con gli spot. Poi, tramite l’agente, piccoli ruoli in alcune serie tv Rai. Serviva sempre la figlia di qualcuno. Ad esempio, ricordo ancora “La nuova squadra” dove Antonio Gerardi era mio padre. Poche pose, dopo tornavo a scuola di recitazione. In realtà sento maggiormente l’esigenza di raccontare una cosa, non di personificarla a tutti i costi. Da qui la produzione. Dopo la triennale con una tesi sui film “invisibili” e le difficoltà di accesso alla distribuzione, ho seguito un master sulla gestione delle risorse finanziarie volte alla cultura. Mi interessa la fattibilità di un progetto, di creare sviluppo.
È una dote innata...
Pensa, da piccola abbiamo messo in scena “Pinocchio” con la scuola di recitazione. Avevo il mio piccolo ruolo: “Medoro”. Eppure, rientrata a casa, aprivo la sceneggiatura completa, chiamavo i miei compagni di scuola elementare, stampavo i copioni per tutti, e li portavo nel giardino della nonna a provare. In pratica, affidavo ex novo i ruoli a tutti quanti e provavo a dirigerli. Davanti alla famiglia rielaboravo la stessa vicenda. Del resto, conoscevo perfettamente ogni personaggio della storia, le loro battute.
C’è qualcuno in famiglia che t’ha ispirato?
Mamma. È un architetto. Inizialmente voleva fare la regista. Si iscrisse al DAMS, quello vero. A Bologna. Di nascosto, ovviamente. Il nonno non accettava di buon grado che si trasferisse nel capoluogo emiliano. Era un momento storico particolare.
Che napoletana sei?
Abbiamo uno slancio maggiore noi partenopei. Per via del territorio. Io vivo persino una nostalgia. Il mito di Dino De Laurentiis a Torre Annunziata. Conosco il potenziale, lo percepisco, Ma sono consapevole del brutto che in qualche modo le ha tarpato le ali in epoca contemporanea.
Il tuo primo ricordo torrese?
È divertente. Considera che il mio quartiere d’origine confina con Pompei e Castellammare di Stabia. Mi sento principalmente vesuviana.
E il primo ricordo di Napoli città?
(Ci riflette su) Ero rappresentante alla consulta provinciale degli studenti. Manifestazioni e scioperi di ogni tipo, insomma. Il primo sciopero a quindici anni. Mi inviano da casa l’immagine al TG1 col cappuccio in testa in prima fila! Napoli rimane per me molto romantica, nostalgica. Muove dentro dei sentimenti. Roma è concreta, per me meno sentimentale, meglio pragmatica.
Roma, appunto. Quella che vivi tu che capitale è?
Mi sono trasferita nel periodo del Covid a 19 anni. Rinuncia alla facoltà di architettura, un nuovo percorso universitario e prospettive da attrice inesistenti. C’ho guadagnato una metropoli raccolta, paradossalmente. Assai mia. Svuotata dai turisti che generalmente la occupano. Da Prati, con la prima casa a via Virgilio fino a Cola di Rienzo. La prima volta ho visto la Fontana di Trevi da sola, senza persone intorno. È un’emozione difficile persino da spiegare.
La componente animalesca dell’attore quanto e forte in te?
Prima di più. Ora che ne comprendo le dinamiche meno. Ho paura che mi si possa spegnere il sogno, niente dipende da noi. Non getto la spugna, però sento che non dipende tutto da me. Non ho controllo, la cosa mi destabilizza.
Progetti per il futuro?
Alcuni cortometraggi, un progetto di una mostra a Roma, cominciare a seguire i corsi della magistrale, e...una tesi da discutere! Soprattutto sto spendendo ulteriori energie per il Festival Artecinema, arrivato alla trentesima edizione. Apriamo al San Carlo con un film su Jean Cocteau con la voce di Josh O’Connor.
Queste foto di moda ti rappresentano?
La Moda adesso è inclusiva. Sembra libera. L’esperienza fotografica la vivo come un’interpretazione immortalata. Un lato di me che prescinde dai bei vestiti, dal glamour.
Ti piace sporcarti, allora?
Prendi Emma Stone con Lanthimos in “Povere creature”. È il sogno di chi fa questo mestiere poter diventare qualcosa di estremamente diverso da ciò che si è. Anche esteticamente. Se mi dicessero rasati i capelli come fece la Hathaway direi: “che figata!”. Scontiamo questa pena in cui ci devono scegliere per chi siamo e non per chi possiamo essere.
Sorride di gusto. Aggiunge: “questa la scriviamo per la mia biografia”. Si scherza da sola con una battuta da black comedy e poi torna seria. Tra il serio e il faceto conclude: “È l’animo artistico!”.
Written by Francesco Della Calce
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